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“Dopo anni di studio è finalmente giunta l’ora della rinascita, inizierò a lavorare, affronterò quella realtà tanto bella quanto oscura.” Questo è il pensiero di molti laureati in giurisprudenza, da qualche anno sempre meno numerosi. La fine degli studi con l’inizio della pratica è un passaggio fondamentale per il giovane giurista. Con quale preparazione ci arriva? Quali garanzie e soprattutto quali strumenti ha fornito l’università al neolaureato? Se non in crisi almeno in affanno. È così che la professione si presenta agli occhi dei ragazzi alle prese con la programmazione del loro futuro, complice un impianto formativo che è ancora imperniato pressoché interamente sulla laurea magistrale e ciclo unico di durata quinquennale e che non sembra tenere conto delle nuove esigenze professionali emerse sul campo e sulla realtà sociale in cui oggi viviamo. Il primo obiettivo, ovviamente, non può che identificarsi con l’inizio della pratica, ed è lì che iniziano, purtroppo, i primi problemi. I neolaureati iniziano a inviare email e CV agli Studi legali della città richiedendo di iniziare la pratica forense. Il più delle volte il diniego è accompagnato da parole cortesi e da qualche nota di incoraggiamento che non spengono la delusione di chi pensava che il conseguimento della laurea sarebbe stata la pietra angolare del proprio futuro lavorativo. A questo punto proviamo a metterci per un attimo nei panni di questi ragazzi e chiediamoci quanta importanza e quanta influenza potrebbe avere per un praticante avvocato essere accolto in uno Studio legale e allo stesso tempo chiediamoci quanto possa influire psicologicamente nel ricevere: “No, nel mio studio non c’è posto. [...] Il praticante deve trovare entusiasmo nel lavoro che fa e questo entusiasmo può essere dato solo dal Dominus che lo segue, gli insegnerà il mestiere, le strategie, gli ispirerà soluzioni giuridiche e fattispecie nuove e attuali. Un aspirante avvocato, deve conoscere alla perfezione, ad esempio, tutti i segreti delle cancellerie: quando conviene mettersi in fila, quando conviene ripassare, come impiegare il tempo che si trascorre nell’attesa, e così via. [...] Dal punto di vista economico la professione di avvocato non offre da tempo le stesse prospettive che offriva sino a dieci anni fa, è vero, ma questo deve invogliare gli aspiranti avvocati a impegnarsi ancor di più. Lasciamo che le cose continuino così? Ognuno è libero (si fa per dire) di andare incontro al suo destino. Un giovane che oggi si laurea in giurisprudenza, ed è determinato a diventare un avvocato, pur non avendo un amico o un parente disposto ad accoglierlo nel suo Studio per fare pratica, cosa deve fare? Forse è banale, ma deve continuare per la sua strada, non arrendersi perché l’occasione giusta arriva per chi crede veramente in questa nobile professione.